Fabri Fibra passa dal Basement ma non la racconta (tutta) giusta
Nell'intervista al podcast di Gianluca Gazzoli emergono dei passaggi un po' confusi sullo stato dell'editoria e del racconto del rap oggi. Facciamo chiarezza.
Fabri Fibra passa dal Basement di Gianluca Gazzoli, uno dei podcast più seguiti al momento, e lo fa come un fiume in piena: un’ora e mezza densa di argomenti a tutto tondo sull’universo rap con anche un passaggio in cui bacchetta un po’ i magazine là fuori ma… c’è un ma. Anzi, più di uno. Andiamo con ordine.
Mi sono preso del tempo per metabolizzare ed elaborare un pensiero perché è un argomento vasto, spinoso, complesso e di cui è difficile sviscerare ogni sfumatura posto che, come dice lo stesso Fibra a più riprese, può tranquillamente non interessare a nessuno.
Questo per quanto, secondo me, sia invece molto utile a capire perché succedono certe cose, perché altre ne vengono scritte e, in ultimo, perché ci ritroviamo con certa musica in cuffia.
Molti si sono già espressi sull’argomento. Dato che i passaggi da analizzare sono tanti ti invito ad armarti di tempo e pazienza oltre che di un buon caffè per gustarti la mia risposta a quanto detto da Fabri Fibra al Basement.
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In America lo fanno meglio ma anche no
Primo punto, questo lo smarchiamo in scioltezza: in America stanno sempre avanti a noi. Anche no. Sono due mondi diversi e, a dirla tutta, se cerchi su Instagram la pagina Rap, la più seguita in tutto l’Internet, ti balza all’occhio subito che ci siano contenuti molto generalisti, poco verticali, molto frivoli e poco approfonditi.
Come in tutte le questioni non è mai il caso di generalizzare troppo perché le eccezioni saltano fuori sempre: ti basti pensare a Complex, altra realtà molto seguita oltre oceano e, in un certo senso, punto di riferimento anche da noi. Meglio andare coi piedi di piombo. E in entrambi i casi parliamo già di network di pagine più che di magazine fatti e finiti.
Come i dischi e i sample, anche i magazine buoni te li devi cercare
Le realtà editoriali valide esistono, per quanto indipendenti, poco strutturate o con alle spalle più amatoriali che professionisti, però ci sono. Vanno un po’ cercate perché passano sottotraccia, un po’ come accade con la buona musica o i sample, il mattone alla base della musica rap.
Senza essere autoreferenziale, ti cito Tastiera Capitale che offre spunti interessantissimi e ha da poco collaborato con una pagina francese proprio per fare scoprire nuova musica più vicina a noi di quanto pensiamo.
I contenitori validi esistono eccome, anche quelli meno tradizionali: the Purista su Instagram, gli Arcade Boyz su YouTube, MoodMagazine per quanto riguarda il cartaceo e credo non si possa non menzionare il lavoro che da tanti anni Matteo Villaci porta avanti sulle frequenze di Radio Popolare oltre che su YouTube con il format Doppia Acca.
I contenitori validi esistono, ciascuno col proprio pubblico di riferimento, ma fanno fatica a emergere e sono presi in considerazione molto poco perché fanno molto poco comodo rispetto ad altri ma approfondirò il tutto tra un attimo.
I meme sono come le patatine fritte
Veniamo al volo alla questione meme. Sono come le patatine fritte: lo sgarro a tavola è concesso a tutti, ogni tanto. Ci sono quelle più buone o meno buone ma nel dubbio non andrei a basarci una dieta. Che dici?
Io ero molto integralista sull’argomento meme, li ho rivaluti quando usati nel modo giusto per due ragioni sufficienti:
non puoi basare un’intera linea editoriale su inchieste, approfondimenti, editoriali e quanto altro. Servono contenuti più frivoli, allegri, disimpegnati e leggeri per far respirare il lettore. Vice versa, non puoi nemmeno rincoglionire l’utente di soli meme altrimenti poi sarà incapace di avere un pensiero proprio, critico e alternativo
in virtù della loro leggerezza e immediatezza possono essere sfruttati su un pubblico più giovane per veicolare messaggi e intenti più alti. Per rimanere sulla metafora culinaria: tuo figlio non mangia le verdure e allora gliele metti un po’ in mezzo alla carne che più gli piace
Deve esserci sempre equilibrio e buon senso in ogni cosa. E oggi, è bene ricordarlo, tutto passa dai social media. Lì c’è il pubblico ed entrano in gioco altre mille variabili di algoritmo e canali/formati di comunicazione che meritano un approfondimento ulteriore al di là di quello odierno.
Boh Magazine nella sua prima fase ha fatto scuola
Collegandomi a quanto detto sui meme, ricordo proprio la formula Boh Magazine degli inizi: facendo leva sul fattore parodia di Sto/Esse Magazine, mischia argomenti quali trash, cultura pop, cartoni animati, film e serie cult per andare a parlare di musica creando interesse. Una miscela che si rivela vincente: critica, approfondimento e informazione senza mai prendersi troppo sul serio così da risultare sempre sul pezzo, puntuale ma affabile.
Svegliarsi la mattina che ti salta l’intervista
Siamo intorno al 2019-2020 quando andiamo a segnalare su Boh Magazine un ricorrente nome di tha Supreme in alcune playlist Spotify che non sembrano troppo genuine. Nessuno scandalo, semplice constatazione oggettiva di nomi e numeri alla mano.
Questo ci costa la sospensione della video intervista organizzata con Dani Faiv e Jack The Smoker che abbiamo il giorno successivo. Il tutto per un riscontro alla luce del sole. Basta così poco? Sì. E avere disponibilità per le interviste è una bella fatica, te lo assicuro.
Come è possibile tutto questo? Sappi che fra addetti ai lavori e artisti ci sono le connessioni più impensabili. Una farfalla sbatte le ali a Tokyo e io devo pagarne le conseguenze e Milano.
Qui si scoperchia un altro bel vaso di Pandora ma vedrò di sviscerarlo con articoli dedicati nel corso di questa avventura. Per ora ti invito ad assimilare l’informazione e tenerla a mente per il futuro quando ti racconterò di telefonate e messaggi fuori dalla grazia di Dio. Se basta un riscontro numerico oggettivo far saltare un’intervista con terzi, immagina cosa può succedere se aggiungi un po’ di critica tagliente sul piatto.
Gli addetti ai lavori sono i primi a dare i numeri
Altra critica mossa da Fabri Fibra ai magazine: si parla solo di streaming, dischi d’oro e risultati. Tutto si riduce ai numeri. Io sono d’accordo con l’inutilità della cosa e dico sempre che sia doveroso certificare anche i dischi di *erda. Mi sembra sempre di predicare nel deserto.
In tutto ciò Fabri Fibra ignora - con più o meno cognizione di causa - che i primi a spingere su questa tipologia di contenuti restano sempre gli uffici stampa e addetti ai lavori prima delle realtà editoriali. Sai quante volte mi è stato chiesto di rilanciare segnalazioni di questo tipo?
Ecco, questo è l’ennesimo giunto mentre scrivo. Neanche a volerlo fare apposta. Ed è l’ultimo di una serie infinita.
Ricordo ancora quando un po’ di tempo fa Lazza superava Sfera Ebbasta su Spotify per numero di ascoltatori mensili. Sorvolando sul *azzo che ne può fregare al sottoscritto, immagina che nell’arco di un’ora si passa dal post di Lazza che si lamenta dei magazine perché mettono gli artisti in competizione tra loro e l’ufficio stampa dello stesso Lazza che chiede a quegli stessi magazine di rilanciare la notizia.
Caro Fabri, non so quanto tu sia informato sui fatti ma non pensi che prima di tutto sia il caso che qualcuno in questo ambiente faccia pace col cervello? Senza contare che gli artisti stessi sono i primi ad alimentare questa litania sui numeri e i dischi di platino a cadenza settimanale.
Fammelo raccontare questo Marrageddon!
Andiamo avanti. Arriva la frecciatina più che palese ad un non menzionato Esse Magazine e alla rubrica che tutto l’internet gli invidia: Come si sono vestiti i rapper questa settimana? Qui mi limito a sorridere :-)
Perché un attimo dopo Fabri Fibra sostiene che nessuna realtà editoriale online abbia degnamente raccontato un evento così importante come il Marrageddon. Peccato che l’unico magazine coinvolto nell’evento sia stato il sopra non-citato Esse.
Come mai succede questo? Perché tutto si riduce ai numeri, non si guarda la bontà dei contenuti proposti, non si cerca l’approfondimento, non si vuole la critica, non si apprezza il confronto tra persone che possono avere opinioni e ruoli diversi.
Mezzo milione di follower su Instagram per il magazine creato apposta per gli artisti sono un sufficiente attestato di qualità, non trovi?
Siamo sicuri che stiano parlando male di te?
Ora entriamo nel vivo perché in questo ulteriore passaggio mi sento parte in causa. Articoli e contenuti che parlano male di te? Parliamone. Io per primo mi sono esposto a suo tempo con un editoriale: Fabri Fibra era la chiave, oggi è la porta.
Messo in difficoltà mentre provavo a scindere il fan dal redattore, riflettevo su come abbia perso il fattore esclusività che ti ha sempre contraddistinto. Avevo dalla mia qualche buon argomento.
Era una critica? Certo. Nulla di personale, tutto assolutamente opinabile. Non siamo mai davanti a delle sentenze ma a degli spunti su cui basare un confronto. Anche qui, come nelle questioni precedenti, eviterei di fare di tutta l’erba un fascio perché ci sono situazioni molto valide con dibattiti interessanti.
E sulla mancanza di interviste torno fra un attimo.
Questi like li gonfio e me li vendo
Veniamo ora ad un altro passaggio fondamentale di questo quasi monologo di Fabri Fibra al BSMT: like che fruttano sponsor, felpe, biglietti gratis ai concerti, varie ed eventuali.
Questi like me li vendo
Mi faccio due lire con gli sponsor.
Non è tutto: quello che ti aspetti dai magazine purtroppo non frutta come pensi, non fa leva sul pubblico, non c’è nessun confronto, non c’è nessuna volontà di approfondire, al netto delle dovute eccezioni.
C’è chi si battezza Trap o Hip Hop e finisce per parlare di geopolitica (!!), condendo il proprio feed di trash, clout, gossip e qualunque cosa generi commenti e condivisioni da indignazione del giorno. In alcuni casi non serve nemmeno conoscere la lingua italiana.
Tutto a discapito della musica, del confronto, del dialogo, dell’approfondimento e di quel tanto anelato racconto di cui parla lo stesso Fabri Fibra. Paradossalmente si dà più margine di manovra a queste realtà perché fanno gioco. E non voglio addentrarmi adesso in questioni ancora più spinose ma altrettanto rilevanti come conflitti di interesse vari ed eventuali.
Un intero network di magazine e pagine a libro paga fa molto comodo
Una parte dei sopra citati magazine forma un network di pagine stipendiate per fare da prolungamento dell’ufficio stampa e lavorare di solo marketing e narrativa. Tutta promo. Anche solo definirli magazine trovo che sia del tutto fuori luogo.
Fibra afferma una cosa giustissima:
Se non dici le cose e non analizzi certi aspetti poi non rimane niente.
Peccato avvenga l’esatto contrario perché si tende a preferire chi segue il pensiero unico e accomodante senza dare fastidio. Che poi, che fastidio potrà mai dare una riflessione, una recensione non positiva, una critica anche se posta in modo tagliente?
Se dici le cose come stanno, se analizzi e approfondisci, c’è il rischio che l’utente inizi a porsi delle domande, darsi delle risposte e formare un proprio pensiero basato su argomenti più solidi invece che nutrire il cervello di soli meme o contenuti con la profondità di una pozzenghera che non dicono nulla.
Un popolo di ignoranti è più facile da governare.
La vittima è la critica, l’accusa è di omicidio
Mi riallaccio al discorso di prima per avviarmi un po’ a conclusione: non ci sono interiste agli artisti perché se non parli bene, se non segui il pensiero unico, sei tagliato fuori.
C’è un problema gigantesco nell’incassare la critica che stronca sul nascere un confronto altrimenti genuino e che fa(rebbe) gioco a tutti. Se i magazine facessero il loro dovere avremmo anche musica migliore.
Succede invece che gli artisti non danno alcuna disponibilità, non a tutti i contenitori editoriali. Si guarda solo al numero senza valutare altri parametri di bontà del magazine di turno. Come nei sopra citati dischi di platino. Ed ecco chiudersi il cerchio.
Non credo ai media (conclusioni)
Perdonami se sono stato prolisso, come detto in apertura Fabri Fibra passa dal Basement e tocca un argomento molto vasto, complesso, cavilloso. Nonostante mi sia dilungato parecchio ti assicuro che ho appena lambito la superficie. Siamo davanti ad uno shangai di questioni e interessi che non si esauriscono in una sola volta ma avrò modo di tornarci sopra in altre occasioni, prima di quanto tu credi.
Ave Tave