La via più breve la scopri sempre al ritorno
Ti porto nel flusso di coscienza di quella che è stata una serata da spettatore in un mondo attorno a me in bianco e nero.
Tardo pomeriggio di giovedì, stacco il turno. Finalmente. L’appuntamento è alle 21 presso l’anfiteatro di Radio Popolare, qui a Milano. Una chiacchiera per i 50 anni dell’Hip Hop, con Dargen D’Amico. Mangio un boccone prima del solito, mi avvio presto.
Nelle ultime settimane, diventate ormai mesi, il turbinio di pensieri che mi mangia la testa è diventato impossibile da sostenere. Per mille motivi. Non sto più presenziando ad eventi, esco poco e nulla. Impongo a me stesso di interrompere questa striscia non positiva.
Devo far prendere aria al cervello.
Arrivo alla fermata della metropolitana di Cenisio. Faccio l’ultimo tratto a piedi. Due passi mi faranno bene, penso. Arrivo a destinazione. Mancano una quarantina di minuti all’inizio del talk. Non c’è ancora nessuno. Mi accendo quel mezzo sigaro che sono solito fumare a fine giornata.
Disclaimer: è un flusso di coscienza, non c’è un vero e proprio nesso tra i pensieri, i salti temporali possono essere sconclusionati e randomici. Il tutto è farcito di citazioni. Non è detto che ci sia un senso compiuto nelle mie parole.
Il destino ha un gran senso dell’umorismo
Fumare il sigaro è sempre un momento di riflessione e contemplazione, strettamente personale. Aiuta a far fluire pensieri, timori, paure. Aiuta a mettere a fuoco immagini che possono palesarsi agli occhi della mente ma che non sono così ben definite.
Inizia ad arrivare qualcuno.
Io ne avrò ancora per un po’.
Il destino ha un gran senso dell’umorismo e della beffa, diceva Er Costa nel singolo con The Orthopedic Mors Tua Vita Mea: a volte punisce il punto e favorisce chi bleffa. Questo è il flash quando ad un certo punto un ragazzo lì in attesa con me per entrare mi chiede se sono Giuseppe. Quello della newsletter. O del magazine.
Non ricordo il nome. Luca, forse. Se mi stai leggendo perdonami se sono stato un po’ schivo, normalmente so essere più affabile, giuro.
Scambiamo due parole veloci, Luca (?) mi chiede se sono lì per lavoro o per piacere. Sì, insomma, per il magazine o per altro. La verità è che non lo so più nemmeno io. Non ho mai preso questa cosa come un lavoro, sempre un piacere. Io il mio lavoro da 40 ore a settimana già ce l’ho. Chiusa parentesi.
So che sono lì come Giuseppe e basta. Outfit total black, come due terzi del mio guardaroba. New Era in testa e sopra cappuccio di felpa.
E sono lì, forse, da semplice spettatore.
Un mondo in bianco e nero
Entriamo, prendo posto in anfiteatro. Sono da solo. Sto aspettando Dario, che so che mi legge e mi ascolta e approfitto di questo scorcio per scusarmi di non essere stato troppo di compagnia nemmeno con lui.
Il talk inizia.
Il talk va avanti.
E io sono un semplice spettatore.
Mi guardo attorno e la percezione, con un sottile retrogusto di delirio causato forse dall’altalena febbrile degli ultimi giorni, è quella di un mondo in bianco e nero.
Il terzo capitolo nella saga dell’eroe
Volo pindarico.
In Batman Forever, film del 1995 di Joel Schumacher, l’Enigmista e Due Facce scoprono la vera identità di Batman, scoprono la bat-caverna e gliela distruggono con tutti i giocattolini e giocattoloni annessi e connessi. Sembra sia tutto finito. Eppure ecco il costume mai collaudato, il Batwing e la Batboard per la battaglia finale.
Nel terzo e ultimo capitolo della trilogia di Iron Man, analogamente, il Mandarino rade al suolo la villa di Tony Stark, compreso il suo laboratorio. All’avvio del protocollo Festino In Casa, uno stuolo di armature fuori dalla grazia di Dio esce dai sotterranei della villa fino a quel momento sepolta dalle macerie ed eccole schierate per la battaglia finale.
Riavvolgiamo il nastro.
La caduta dei giganti
In questi dieci anni trascorsi a scrivere di musica ho conosciuto tantissime persone, mai avrei pensato che avrei vissuto certi momenti, in certi contesti, solo aprendo un blog e iniziando a scrivere di musica con i tecnicismi assimilati in passato per via del lavoro da copywriter.
Non ero spettatore.
Ero parte attiva.
Ero dietro le quinte.
Un pensiero ricorrente, per citare con licenza poetica Ken Follett, è quello della caduta dei giganti: non hai idea di quanti artisti abbia rivalutato fino a non riuscire più ad ascoltarli o esserne fan, con un pensiero plasmato dall’aria viziata che in tanti momenti ho respirato per poi pormi domande in cerca di risposte.
Se potessi almeno darti un consiglio: non fidarti di me, io sono finto.
[Fabri Fibra - Questa vita]
Recensioni che non vanno bene.
Editoriali che vanno di traverso.
Comunicati stampa che non arrivano di proposito.
Foto vecchie per cui l’artista non rilancia il contenuto.
Telefonate minatorie.
Messaggi criptici.
Quello che ai miei occhi è sempre stato un sogno ad occhi aperti, mai vissuto da addetto ai lavori vero e proprio (qualcuno direbbe giornalista) ma da puro, semplice e genuino fan di questa roba è finito per trasformarsi in un reality check al gusto veleno.
Come bevessi una bottiglia di vodka tutta d’un fiato.
A stomaco vuoto.
I rapporti di amicizia sono finti, le collaborazioni spontanee non esistono, il marcio è ovunque, non c’è possibilità alcuna di redenzione e cambiamento. L’approccio dietrologico e complottistico alla qualunque mi circola nel sangue e non riesco a rigettarlo, come LSD.
L’effige del mio gruppo ha fatto scuola
ma poi l’invidia suona
I soldi uccidono
La crew muore da sola
[Noyz Narcos - Lobo]
Spesso il male di vivere ho incontrato
Raramente mi pento nella vita perché penso che si arrivi a determinate conclusioni sulla base delle conoscenza del momento preciso in cui si prendono decisioni e si fanno scelte. La conoscenza non è immutabile, anzi. Eppure, ci sono momenti in cui maledico il giorno di aver aperto quel blog, quando tutto è iniziato.
Perché in quel momento si è rotta la magia.
Solo che non lo sapevo.
Non ancora.
Incredibile come riesca a vivermi male qualsiasi momento, anche quello più bello. Anche l’amore, che sia per la musica o per una donna che la vita dopo tanto tempo ci ha tenuto a farmi incontrare. Chissà come se la sta cavando Giuseppe in quell’universo alternativo, in quell’altra linea temporale.
Il vizio irrefrenabile di mettersi in discussione continuamente. Il dubbio di aver fatto davvero qualcosa pur sapendo di averla fatta un attimo prima.
Notte buia, niente stelle
La serata volge al termine e io resto da solo con la domanda che avrei voluto fare a Dargen D’Amico a fine talk. Me la conservo per quanto avrò la possibilità di intervistarlo io.
Non so ancora bene dove.
Non so ancora bene quando… e se.
Le immagini che scorrono ai miei occhi sono ancora in bianco e nero. Più volte mi sono chiesto perché.
Forse quello che doveva essere il presente si sta trasformando in passato?
Titoli di coda.
Un affabile Tavera.