Thori & Rocce è un disco che non può e non deve ripetersi (e va bene così)
Così bello, così unico nel suo genere per quanto rappresenta per questo genere e questa cultura in Italia che pensare ad un volume 2 sarebbe un sacrilegio.
Il 14 giugno (dell’ormai lontano) 2011 esce una delle compilation più importanti per il rap italiano: Thori & Rocce. Quello che oggi chiameremo joint album, a cura di Shablo e Don Joe. Spendiamo due parole su un disco incredibile ancora oggi e vediamo perché è e deve rimanere unico e senza sequel.
Se ne è parlato in più di un’occasione ma resto dell’idea che un progetto del genere oggi non solo avrebbe poco senso ma priverebbe l’originale (passami il termine) della magia che lo rende unico.
Pausa nostalgia, torniamo indietro nel tempo all’uscita di Thori & Rocce, un album fino a quel momento impensabile. Nessuno se lo immagina, nessuno se lo aspetta. Poi invece, la storia.
Cose belle in tempi non sospetti
Anticipato dalla posse track Le Leggende Non Muoiono Mai che già ci regala un accostamento inedito come quello di Noyz Narcos e J-Ax sulla stessa traccia, nemmeno il tempo di essere pubblicato che questo album porta con sé una ventata di epicità. Un evento.
Siamo ben lontani dalle dinamiche della discografia odierna:
da dischi che sono ormai compilation, zeppi di featuring sempre uguali
dalle certificazioni, oro e platino, flexate ogni lunedì
dalla dipendenza da streaming, dopati o meno che siano
dai post archiviati su Instagram per creare hype sul nulla cosmico
dal 2016, dalla trap, da Sfera Ebbasta, dalla Dark Polo Gang
dalla moda dei joint album
da artisti e rapper di dubbio gusto e caratura (Bello Figo e Nello Taver in primis)
dai magazine di rap italiano (Sto Magazine nascerà solo nel 2016, così come Beat Torrent prima di diventare nel 2018 rispettivamente Esse Magazine e Boh Magazine)
Insomma, è tutto un altro mondo da qualunque angolazione vogliamo guardare. E non voglio essere di quelli che “signora mia, si stava meglio quando si stava peggio” però in questo caso anche sì. Meno pippe mentali, meno gente convinta in giro. Meno tutto e più musica fatta come Dio comanda. Parola d’ordine sulla quale tornerò spesso: genuinità.
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Il valore di un disco così in senso relativo e assoluto
Thori & Rocce nasce di fatto come un progetto pochi ma dà subito inizio a qualcosa. La distribuzione di una major allora in salute come Universal aiuta sicuramente a dare grande risonanza alla compilation ma il punto sul quale voglio concentrarmi è un altro e credo sia quello più importante: questo disco rappresenta la scena rap che si unisce e grida a gran voce al pubblico italiano. Quasi a voler dare uno scossone fortissimo. E ci riesce. Quello che andrà a essere negli anni a venire è storia.
Siamo davanti ad un album che ha dentro davvero di tutto: punk, elettronica, scratch, sample: artisti che si alternano al microfono in una varietà di pezzi e sonorità per accontentare tutti senza pensare di voler accontentare tutti perché nessuno si sta ponendo nessun tipo di problema. C’è solo voglia di fare della buona musica insieme e spaccare.
Si fondono stili e personalità, big e emergenti, underground e mainstream:
Bassi Maestro e DJ Shocca
Aban, Vacca e Johnny Marsiglia
il primo Fedez con l’allora Extreme Team di CaneSecco e Gemitaiz
Tormento, Duellz o Nex Cassel così come i membri della Dogo Gang
Mi sento come Giovanni Storti: non ce la faccio, troppi ricordi.
Thori & Rocce ha un valore inestimabile per il rap italiano: in senso relativo per i tempi storici in cui si inserisce e per come riesce ad emergere e fare da vetrina al rap italiano propriamente detto preservandone ogni possibilità di vizio da fattori esterni e, in senso più assoluto, perché davvero è un episodio irripetibile.
Valore e portata dell’evento - perché di evento parliamo - non sarebbero mai gli stessi oggi pur con numeri fuori dalla grazia di Dio. Senza contare che è e sempre sarà un punto di riferimento per conoscere nomi e voci di chi ha fatto la storia di questo genere nel nostro Paese spianando la strada a chi verrà dopo.
Oggi non avrebbe alcun senso
Un progetto come Thori & Rocce oggi non avrebbe motivo di esistere. Con i tempi che corrono andremmo ad etichettarlo come un normale producer album e dico normale perché ormai il producer album è diventato un “venite dentro, se ci stringiamo ci stiamo tutti” piegati al servizio dei numeri, degli streaming, delle amicizie, del clientelismo, dello scambio di favori e chi più ne ha più ne metta.
Il tutto a discapito della musica vera e propria senza alcun tipo di guizzo creativo, senza rischiare nulla, senza tentare qualche combo inedita e interessante delle solite già sentite in altri cento dischi di rap italiano, nemmeno da producer.
La sovrastruttura discografica oggi è troppo ingombrante per consentire ad un album del genere di venire alla luce conservando genuinità e autenticità che hanno contraddistinto, diciamo così, l’originale.
Thori & Rocce 2 oggi suonerebbe come una playlist e di playlist ne abbiamo in abbondanza, così come di dischi che suonano come tali e che, come detto in altra occasione, non andresti a considerare se non fosse per quei featuring.
Perché non deve ripetersi (conclusioni)
Veniamo allora al cuore della mia riflessione: perché un progetto come Thori & Rocce non deve avere alcun sequel e perché va bene così. Shablo e Don Joe hanno fatto un lavoro incredibile, enorme.
Al netto delle difficoltà tecniche e non nel mettere insieme 40 artisti oggi (che non sarebbero mai 40 ma molti di più, per quanto detto in precedenza).
Un sequel andrebbe a caricare sulle loro spalle un peso di aspettative enorme e sappiamo bene come i sequel fanno fatica a soddisfare quelle aspettative del pubblico all’ascolto.
E toglierebbe parecchio a quell’aura di magia che ancora oggi avvolge l’originale, il primo volume.
Lasciamo questo album alla sua unicità nello spazio e nel tempo, alla sua genuinità di contenuto e forma, al suo contributo a questo genere musicale e questa cultura nel nostro Paese. Sarà un (audio)libro di testo per le generazioni a venire che vogliono scoprire il rap italiano.
Va bene così, è giusto così, lasciamo che il ricordo resti vivo in noi e ad ogni riascolto, proprio in memoria di quel periodo storico, si possa dire: che bello il rap!